Aritmie: la scoperta di Giuseppe Nasso

L’altro quotidiano.it: medicina e ricerca. Aritmie: la scoperta di Giuseppe Nasso di Vincenzo Pitaro.

La più recente conquista della Ricerca italiana in campo cardiologico? 

Porta il nome di uno scienziato calabrese di fama internazionale, originario di Polistena (Reggio Calabria), che da anni vive ed opera a Roma: il professor Giuseppe Nasso, direttore dell’Istituto Clinico Cardiologico «Gvm Care and Research» di Roma, oltre che co-responsabile della cardiochirurgia e chirurgia vascolare dell’Anthea Hospital di Bari e docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

La sua scoperta – recentemente ufficializzata dalla pubblicazione sulla più importante testata giornalistica della letteratura scientifica, il «Journal of Thoracic and Cardiovascular Surgery» – riguarda la fibrillazione atriale, un’aritmia cardiaca che origina dagli atri del cuore. Grazie a questa scoperta del professor Nasso, oggi è infatti possibile predire in maniera più affidabile – attraverso un semplice prelievo del sangue – se il paziente è a rischio.

Lo scienziato, in pratica, addebita la causa di questa patologia a una sostanza presente nel sangue, l’omocisteina, che – a suo parere – si associerebbe con l’insorgenza e il ritorno dell’aritmia cardiaca. «Più alto è il valore di questa sostanza nel sangue», dice il prof. Nasso, «e più si corre il rischio di essere affetti da fibrillazione atriale».

Una scoperta senza dubbio rivoluzionaria che ha suscitato non poco interesse anche nel mondo della Ricerca americana e che il suo autore – qualche giorno addietro – è stato invitato ad illustrare con successo a Los Angeles, presso il congresso mondiale dell’«International Society for Minimally Invasive Cardiac Surgery». Che dire? D’ora in poi, il medico di famiglia potrà dunque disporre – per merito di questa ricerca del professor Nasso – di un nuovo test ematico, di un ulteriore esame di laboratorio che consentirà di sondare con certezza le condizioni di salute del proprio paziente. E non è certamente una cosa da poco. La fibrillazione atriale – come si sa – è un importante fattore di rischio per lo stroke, per l’ictus. La perdita della contrazione atriale, l’irregolarità del battito del cuore e l’aumento della pressione di riempimento possono compromettere la funzione ventricolare sinistra, in maniera variabile, sotto sforzo, e la tolleranza agli sforzi può essere di gran lunga ridotta.

In Italia e nel mondo, circa un quinto degli stroke è dovuto a questa aritmia. Una malattia cardiaca che costituisce anche un fattore di rischio per una riduzione della capacità cognitiva, per le ospedalizzazioni ripetute, e che in generale può determinare una riduzione della qualità di vita. Per di più, la percentuale di mortalità nei pazienti affetti da fibrillazione atriale – come riportano i sondaggi della Stampa medico-scientifica italiana – è raddoppiata nel corso degli anni. La scoperta del professor Nasso, quindi, accende la speranza.

In Italia c’è molto entusiasmo negli addetti ai lavori. E non poco rammarico – ci verrebbe fatto di sottolineare – per come vanno (e continuano inesorabilmente ad andare) le cose nel mondo della Ricerca, dal punto di vista finanziario. La scienza in Italia, ahinoi!, difatti è sempre più povera, sempre più in crisi. Stato e privati investono a malapena l’1,20 per cento del prodotto interno lordo per la Ricerca scientifica e tecnologica. Soltanto «pochi spiccioli» all’anno, se si considerano le cifre piuttosto rilevanti che vengono destinate nei Paesi d’Europa, o addirittura quelle astronomiche degli Usa. Eppure, vivaddio, i cervelli non mancano. E i risultati neppure.

Un ricercatore, scienziato di fama, che opera a Milano, confidandoci il suo disagio – e quello di tanti suoi altri colleghi – ci dice: «Se un giorno voglio studiare il comportamento delle formiche in un sistema inerziale, studio che non serve a nulla e a nessuno, lo faccio e nessuno mi dice nulla». In altre parole, «qui da noi manca anche il cooordinamento a quelle poche ricerche che facciamo e anche questo contribuisce a far sì che esse non si trasformino in brevetti, royalties, produzioni, ordini, oggetti, commesse, procedimenti, ecc.

Ricerca e sviluppo tecnologico vogliono dire Progresso, con la “P” maiuscola, e lavoro. La nostra Ricerca di base, tuttavia, è molto più seguita all’estero che non in Italia. L’imprenditoria privata non la promuove, o ne fa pochissima». Pochi, insomma, si accorgono che gli scienziati sono il nostro miglior patrimonio!

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